Vincitore del MyMovies Award alla 19esima edizione del FEFF, Mad World è il primo lungometraggio del regista Chun Wong, incentrato su un giovane malato di mente incapace di reintegrarsi nella società e costruire un rapporto col genitore che l’aveva abbandonato.

L’ex broker TungShawn Yue – è stato appena dimesso dalla clinica dove era ricoverato per disturbo bipolare. Ad accoglierlo a casa vi è soltanto il padre Wong – interpretato da Eric Tsang, insignito del Gelso d’Oro alla Carriera – ,  che non vuole commettere l’errore di lasciarlo a se stesso come aveva fatto a suo tempo con la moglie disturbataElaine Jin – deceduta qualche anno prima. Nel corso della convivenza verranno così a galla i rancori di una vita passata a ignorare i problemi piuttosto che a risolverli.

mad world

Tra i film conclusivi della sezione Creative Visions dedicata al cinema di Hong Kong in occasione del ventennale della restituzione alla Cina, Mad World è un film dialogico che fa della recitazione il suo maggior punto di forza. A stupirci è sicuramente Shawn Yue, conosciuto per ben altri ruoli – uno su tutti Jimmy nella trilogia di commedie romantiche firmata Ho-cheung Pang – e che qui veste a dovere i panni di un personaggio non facile da rendere, in grado di passare in pochi secondi dall’apatia alla rabbia e che soffre di depressione. La palma spetta tuttavia a Eric Tsang nel ruolo del padre e a Elaine Jin in quello della madre, con prestazioni opposte: da un lato un uomo onesto ma limitato, spaventato dal figlio che non riesce a comprendere né ad amare; dall’altro una donna mentalmente e fisicamente disabile che ha perso ogni contatto con la realtà.

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Con un montaggio che incastona sapientemente spaccati del passato di Tung nella narrazione principale, alla fine riusciremo a dare un senso alla enigmatica sequenza del bagno proposta a più riprese nel corso del film e a ricomporre la complessa situazione familiare che ha condotto il giovane al crollo psicologico.

A ogni modo Mad World parla non tanto della malattia in senso stretto quanto dei malati, concentrandosi sulla descrizione di come il disturbo si esplichi nelle relazioni umane anziché sull’analisi degli aspetti morbosi. Rifiutando gli psicofarmaci farmaci il protagonista – e di conseguenza lo spettatore – gode di una visione delle cose più lucida di quanto il suo stato farebbe supporre: basti pensare alla scena del matrimonio, in cui questi non esita a salire sul palco e criticare l’ipocrisia degli invitati, troppo presi dai pettegolezzi per dare agli sposi l’attenzione che meritano. Tung regredisce dunque a uno stato simile all’infanzia – non a caso legherà soltanto con il bambino della porta accanto – da cui gli risulta chiaro che è la società stessa a essere malata: l’amico spinto al suicidio dalla crudeltà del mondo del lavoro e la donna che allontana il figlio dalle sue passioni nutrendolo di ambizioni ne sono appunto perfetti rappresentanti.

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Sono discorsi tutto sommato già sentiti e lo stesso vale per il progressivo riavvicinamento dei due protagonisti, ma nel suo rispetto delle convenzioni Mad World fa capire quanti spunti di riflessione possa ancora offrire la tematica che affronta.