Daniel, poliziotto tutto d’un pezzo caduto in disgrazia in seguito ad episodi di violenza nell’accademia dove lavorava, vive un’esistenza grigia nel Sud del Brasile insieme al padre malato di Alzheimer. A ravvivare la sua quotidianità sono solo i messaggi che scambia con Sara, una ragazza conosciuta online. Quando Sara, senza apparente motivo, cessa di farsi sentire, Daniel percorre le migliaia di chilometri che li separano per mettersi alla sua ricerca. Lo attendono scoperte inattese, su Sara e anche su se stesso…

Forse è la prima volta che il titolo di un film tarda così tanto a materializzarsi sullo schermo: la scritta “Deserto particular” (“Deserto privato”) compare infatti al ventinovesimo minuto dell’intenso terzo lungometraggio scritto e diretto dal brasiliano Aly Muritiba. Ovviamente questo succede per un motivo ben preciso, che non manca però di spiazzare lo spettatore arrivato alla proiezione veneziana del film in questione (selezionato per le Giornate degli Autori 2021) senza sapere nulla della trama: la prima mezz’ora è infatti una funzionale introduzione alla storia vera e propria che Muritiba intende raccontare, e teoricamente avrebbe potuto rappresentare un cortometraggio a sé o una sorta di teaser.

Muritiba, che peraltro ha un passato di agente della polizia penitenziaria – così, durante l’università, si manteneva agli studi – e dunque conosce bene la materia di cui parla, ci fa innanzitutto conoscere uno dei due protagonisti, il suo background e la sua difficile situazione attuale: Daniel è un poliziotto che volente o nolente si è lasciato prendere la mano perché da sempre educato alla violenza, è un maschio alfa latinoamericano abituato a non esternare le proprie emozioni, è il figlio di un padre anch’egli militare che, seppur ora inoffensivo e addirittura inerme a causa della malattia che lo ha reso irriconoscibile, ha quasi sicuramente plasmato in negativo l’identità del figlio. Daniel ha però la sensazione di essere davvero se stesso quando chatta con Sara, una bella ed enigmatica ragazza conosciuta su Internet: una figura all’inizio del tutto evanescente, capace però di cambiare radicalmente la percezione del mondo di Daniel, che ancora non sa a quale percorso di crescita e consapevolezza andrà successivamente incontro, ma per lei, contro le proprie abitudini, compirà un gesto impulsivo e irrazionale mettendosi in viaggio…

Una volta abbozzato un efficace ritratto in mezz’ora di girato, il regista è pronto a dirigersi insieme al suo personaggio verso gli snodi di quella che è la storia vera e propria, in quello che inizia come un canonico road movie con elementi di giallo e poi prende pieghe inaspettate, per certi versi almodovariane nel gioco di travestimenti e identità multiple che segna la ricerca (e il ritrovamento) della misteriosa Sara. Ma, si badi bene, non si tratta di un film da etichettare frettolosamente con il limitante marchio della tematica LGBTQ+, nonostante quest’ultima abbia ovviamente il suo peso (non sarà superfluo far notare che l’interprete di Robson/Sara, Pedro/Flo Fasanaro, ha dichiaratamente un’identità fluida nella vita reale oltre che sullo schermo, il che conferisce indubbiamente un’estrema naturalezza alle varie scene in cui lo vediamo nelle sue diverse facce).

Deserto particular è infatti allo stesso tempo un film sulla ricerca di sé e di un contatto empatico e genuino con l’altro, sulle nuove strade che è possibile percorrere aprendo la propria mente a esperienze e incontri inediti, e soprattutto sul Brasile di oggi, su un immenso paese che esploriamo nelle sue propaggini meridionali e settentrionali, stupendoci per la loro profonda diversità (volutamente accentuata anche dalla differenza di approccio del regista e del direttore della fotografia in termini di colore e movimento della mdp) e cogliendone zone d’ombra che vanno oltre le ben note sacche di povertà e l’assenza di prospettive per i giovani di provincia. Lo stesso regista ha detto di aver voluto girare un film sul Brasile di Jair Bolsonaro: un paese dove, alle sempiterne contraddizioni e disparità economiche, si è aggiunta un’ideologia di estrema destra che non ha fatto che acuire i conflitti già presenti, con conseguenze particolarmente drammatiche per le minoranze.

Non è la prima volta che Aly Muritiba indaga l’affannosa ricerca di amore e calore umano da parte di persone “diverse”, sole o straziate dal dolore: anche nei primi suoi due lavori (To my beloved e Rust) i protagonisti, adolescenti o adulti che fossero, si ritrovavano impossibilitati a rompere l’isolamento in cui erano stati costretti ora dalla perdita di una persona cara, ora dalla stigmatizzazione da parte dei coetanei. Anche qui il punto di partenza è un uomo solo e smarrito nel suo intimo “deserto privato” – una metafora, quella del titolo, esplicitamente tirata in ballo dal sacerdote della comunità cattolica frequentata da Robson/Sara insieme alla nonna, anche se le belle parole del parroco sulla compassione e la solidarietà collettiva volti a far sgorgare fonti vitali in questo simbolico deserto si riveleranno lettera morta di fronte ai pregiudizi e all’omofobia cui nessuno pare immune.

Ma questa volta, in controtendenza rispetto ai suoi precedenti, lancinanti lungometraggi (Rust, lo ricordiamo, raccontava anche un suicidio), Muritiba approda a una peculiare oasi nel deserto del titolo. Se non un tradizionale happy end, al pubblico viene offerto quantomeno un messaggio di speranza ben corroborato da sequenze finali di disarmante umanità, che suggellano da un lato la nuova consapevolezza di Daniel come uomo diverso, sensibile e ben lontano dal macho dell’incipit, e dall’altro la coerente battaglia di Robson/Sara per conquistarsi il proprio spazio e il proprio futuro. Il risultato di questa love story impossibile ma pienamente vissuta è un film ottimamente architettato, commovente e di sicuro impatto per il grande pubblico: non è un caso che Deserto particular abbia conquistato, tra i lavori in programma alle Giornate degli Autori, il premio degli spettatori.