Primo lungometraggio diretto da Mauro Mancini, unico film italiano in concorso alla Settimana Internazionale della Critica (2020), Non Odiare descrive una realtà pericolosa: quella dell’odio. Ma c’è anche un altro tema trasversale, quello del rapporto, del legame, dell’eredità morale e umana padre/figlio.
Simone Segre è un chirurgo. Tipo solitario, di origini ebraiche, vive in una grande casa. Non si sa molto riguardo la sua sfera privata (la scrittura del personaggio è fin troppo essenziale: lo spettatore apprende solo un ricordo del passato e un presente in cui vuole vendere la casa del padre, che non vedeva da tempo e che ora è scomparso).
Un giorno, per caso, si trova ad assistere ad un incidente; chiamati i soccorsi, prova prestare aiuto alla vittima, ma quando, scostata la camicia, nota il tatuaggio di una svastica, non ce la fa. Si blocca. Fa un passo indietro.
Il senso di colpa lo porta a mettersi sulle tracce dei figli della vittima: Marcello va ancora a scuola, sarebbe anche un adolescente in gamba, non fosse completamente coinvolto come il padre in una organizzazione neofascista. Il più piccolo Paolo, va alle elementari.
La più grande, Marica, ha lasciato il suo lavoro da segretaria per tornare a casa a occuparsi dei fratelli. Senza impiego, la giovane cerca lavoro come colf. Sarà Simone ad assumerla, nella speranza di poterla aiutare, per espiare.
Quando Marcello scopre che la sorella lavora per “un giudeo”, la sua rabbia cieca e ottusa non gli dà tregua: minaccia prima lei, poi lui.
Marica vuole bene ai suoi fratelli, come può. Non è feroce come il fratello, ma non è facile avere un equilibrio dopo essere cresciuti con un padre di quel tipo.
Simone, da parte sua, non ha avuto un rapporto facile con il proprio padre.
Marcello orfano disperato, si attacca a ideali di odio perché sono secondo lui un legame per portare avanti il ricordo del padre.
Il piccolo Paolo è quello insospettatamente più vulnerabile.
Girato e ambientato a Trieste, Non Odiare si basa su un fatto di cronaca del 2010, quando in Germania un medico si rifiutò di operare un pazienza con tatuata una svastica.
Misurato e sobrio – nel suo dire senza giudicare – solido all’inizio, rallenta nel mezzo (la figura dello strozzino è un elemento in più, che non era necessario), ma riesce a riprendersi ed avere una conclusione efficace con un retrogusto di sospensione.