“HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE” DI J.K. ROWLING

L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la Morte

Privato del suo ultimo grande protettore, un Harry Potter ormai adulto e maturo si trova ad affrontare la sfida finale contro Voldemort, uno scontro fra titani. Ancora una volta è un libro, le “Fiabe di Beda il Bardo” –in apparenza una lettura per l’infanzia- a dirigere i passi del protagonista tra agghiaccianti rivelazioni, sbalorditivi colpi di scena, persecuzioni di Nati Babbani, feroci battaglie ed efferati omicidi. Per sconfiggere definitivamente il Signore Oscuro, però, Harry deve rintracciare e distruggere tutti gli Horcrux e soprattutto comprendere fino in fondo la forza dell’unico potere che può sconfiggere la Morte stessa.

La saga di Harry Potter, in questo settimo ed ultimo episodio, è giunta al termine.
Date la complessità e la raffinatezza di costruzione della trama nei volumi precedenti, la conclusione è sicuramente il momento più delicato per il valore di tutta la serie: poteva rivelarsi un flop clamoroso oppure una grandiosa nota finale all’altezza dell’epopea creata, come l’ultimo tocco dell’artista che dà compiutezza all’intera opera.
In questo caso, l’artista J.K. Rowling è riuscita nel suo intento.

Il settimo è il libro dove l’autrice si congeda dal lettore riprendendo le fila delle tappe precedenti citando qua e là in una lunga, affettuosa carrellata le situazioni, i personaggi, e gli episodi che hanno caratterizzato l’intera saga.
Il settimo è il libro delle rivelazioni sconvolgenti, shoccanti che gettano una luce completamente nuova su tutta la vicenda spingendo a rileggere tutti i volumi con sguardo diverso, ma soprattutto il libro della verità. La verità su Voldermort, su Piton, su Silente, su vita e morte dei genitori di Harry, su misteriosi antenati, sui segreti della Gringott, di Hogwarts e dei suoi fantasmi, persino sulla leggenda di tre fratelli che hanno ricevuto tre potentissimi doni dalla Morte in persona: la Bacchetta invincibile, la Pietra della Risurrezione, il Mantello dell’Invisibilità.
Il settimo è il libro in cui l’autrice “osa di più” compiendo una serie di operazioni letterariamente audaci che sconvolgono i meccanismi narrativi standard facendo crollare tutte le certezze del lettore che rimane spiazzato e privo di punti di riferimento, in totale balìa della trama.
La Rowling, infatti, rinuncia a situare l’azione a Hogwarts – ad eccezione di un capitolo -, la scuola di magia teatro di tutti gli avvenimenti degli altri sei libri, eliminando in pratica l’intero universo creato fino ad allora. Per una storia che viene scandita – anche nella numerazione dei volumi – dal numero degli anni che il protagonista trascorre nella scuola, si tratta di una scelta senza dubbio rischiosa, visto il successo riscosso presso il pubblico proprio dall’ambientazione stessa.
Altra incauta scelta la decisione di appoggiare gran parte della storia sulle spalle di Harry e dei due personaggi principali Ron ed Hermione, riuscendo comunque a seguire l’evoluzione delle vicende di tutta l’ingombrante marea di personaggi messi in campo.
Infine un ulteriore grandissimo azzardo, l’attacco con progressivo sgretolamento alla figura di riferimento principale del Bene, Silente, tanto che il lettore si trova come Harry a pensare: «un’ultima certezza si era infranta dentro di lui […] si era fidato di Silente, l’aveva creduto l’incarnazione della bontà e della saggezza. Tutto era cenere: quanto ancora poteva perdere?».
Il mago che si oppone al Signore Oscuro, la guida e il mentore di Harry, la forza positiva impersonata dal classico mago buono presente in ogni libro fantasy che si rispetti, dal Gandalf di Tolkien ai Druidi di Terry Brooks. In questo libro la sua immagine viene macchiata, oltraggiata, ma anche resa più umana con la comparsa di sbagli ed errori che possono intaccare anche la personalità di un grande uomo senza per questo sminuirne il fascino.
Il settimo è inoltre il libro dove più si avvertono suggestioni letterarie, dall’idea dell’oggetto malvagio che corrompe l’io presente anche in Tolkien ’anello di Sauron a quella del sacrificio del Bene necessario per sconfiggere il male ripresa ne Le Cronache di Narnia il Leone, nonché messaggio alla base del Vangelo.

Il settimo è però anche il libro dove emerge prepotentemente il vissuto biografico dell’autrice: l’esperienza della morte della madre, che l’ha portata a inventare e mettere per iscritto l’intera storia, qui affiora come tema di base. La Morte è onnipresente fin dal titolo e si ripresenta continuamente sotto forma di omicidi dei personaggi copiosi e sparsi per tutto il volume al contrario dei precedenti in cui ne avveniva uno solo alla fine, di protagonista di una favola, di inevitabile esito finale del duello, ma soprattutto di riflessione.
L’intero libro può essere considerato una riflessione sul valore della morte come esperienza umana, sul dolore della perdita, sulla necessità di guardare avanti nonostante tutto, sull’importanza di ideali per i quali la morte è un prezzo accettabile, sulla controproducente inutilità degli sforzi per sfuggirle e sul coraggio di affrontarla. Una lunga meditazione capace di raggiungere vette esistenziali lanciando un messaggio di speranza anche nei passi più bui.
Il libro sette, numero di immortale fascino in campo letterario e religioso (dai Sette contro Tebe di Eschilo ai Sette Giorni della Creazione, costituisce quindi il sigillo finale a un’opera fantasy la cui magia ha saputo stregare lettori di tutto il mondo consacrando la Rowling erede moderna di Tolkien.

J.K. Rowling, Harry Potter e i doni della morte, Salani, 2007, pp. 702, 23 euro.