Dalle polverose strade della Baja California alle colline dorate di Los Angeles. Con il Messico nel cuore e gli Stati Uniti nel portafoglio, Silverio si avvia a ricevere uno dei più importanti premi giornalistici americani. Un riconoscimento di quelli che consacrano una carriera, ma che, inevitabilmente, costringono a fare pericolosi bilanci.

Tornato in patria da eroe in bilico tra i due mondi, infatti, il reporter e documentarista inizia a dubitare di sé stesso: qual è stato il prezzo di tanto successo? Le sirene capitalistiche americane hanno cambiato la percezione del suo paese, persino delle sue origini? Ripercorrendo i luoghi e le emozioni della sua giovinezza, Silverio inizia un viaggio onirico alla ricerca di un briciolo – soggettivo – di verità.

Dopo sette anni di silenzio cinematografico e il successo di The Revenant, Alejandro Gonzalez Iñárritu riprende il percorso introspettivo iniziato con Birdman e costruisce un racconto autobiografico basato sulla fluidità dei ricordi, sulle prospettive della storia e sulla mutevolezza dell’animo umano. Una vera e propria indagine metacinematografica che interseca e riscrive più volte la narrazione della crisi di Silverio – un bravo e credibile Daniel Giménez Cacho – attraverso la messa in scena del documentario che ha appena finito di girare, i suoi sogni, le paure, i desideri.

Alejandro González Iñárritu

Difficile non sovrapporre i dubbi e le esperienze del protagonista con quelle del regista messicano pluripremiato a Hollywood e glorificato dal mondo del cinema statunitense e internazionale. Per entrambi, forse, il lavoro intellettuale, ben retribuito, quello che differenzia migranti di prima classe da quelli, disperati, di seconda, non è sufficiente ad abbattere quel confine pericoloso che non segue solo il corso del Rio Bravo e i deserti dell’Ovest, ma rimane ben impresso nella mente e nel corpo di chiunque lo attraversi.

Così l’influenza nordamericana condiziona chi resta e chi parte, chi ha successo e chi scompare nel deserto. Ma la lotta interiore di Silverio e Iñárritu per sfuggire al colonialismo territoriale, economico e culturale degli USA, forse persa in partenza, non può non essere affrontata e digerita consapevolmente, a cominciare proprio da chi si sente escluso da questi condizionamenti.

Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths racconta una vera e propria escursione nei meandri della psiche del protagonista – ma, infine, di tutti noi – condotta dal regista premio Oscar con la consueta sapienza registica e l’inconfondibile raffinatezza visiva, peccando solo, come spesso accade quando la materia trattata è così personale, nel non riuscire a contenere la lunghezza eccessiva del film.

Come nella vita di tutti i giorni d’altronde, e come nel Cinema, in Bardo convivono banalità e meraviglia, ripetizioni e sguardi folgoranti.