Biennale Arte 2022 – Il Latte dei Sogni – Arsenale

Il percorso all'interno delle Corderie tra perline e cyborg

Oltrepassato il pannello d’ingresso delle Corderie tiriamo un sospiro di sollievo, ecco la Biennale che aspettavamo. Al centro della prima sala ci attende una misteriosa donna, una grande scultura in bronzo di Simone Leigh. Il bel viso afroamericano circondato da lunghe treccine è sostenuto da una massiccia struttura. La donna non ha occhi, curiosa scelta di apertura per una mostra che sceglie questa parte del corpo come immagine centrale, ma forse proprio per questo la figura può essere portatrice di un messaggio che l‘esposizione d’arte propaga lungo tutte le Corderie: è arrivato il momento di mostrare quanto prima non era visibile.

Gabriel Chaile

La scultura è circondata da una serie di opere di Belkis Ayón, artista cubana morta nel 1999, particolarmente interessata a rappresentare la Abakuá, una società segreta riservata esclusivamente agli uomini, Ayón riesce però a rendere protagonista l’unica figura di donna del mito Abakuá: la principessa Sikàn. Ad esclusione delle giocose e positive sculture dai risvolti sociali di Gabriel Chaile, già nelle prime sale emerge dalle opere esposte la rappresentazione di un dolore acuto. Lo si vede nei dipinti di Portia Zvavahera, così come nei disegni di Rosana Paulino. Un dolore taciuto per decenni, conservato dentro di sé, soffocato da un antropocentrismo dettato da un’élite di uomini bianchi. Da questa sofferenza nasce però un movimento di rigenerazione e trasformazione dell’umano, che si fonde con la natura. Una nuova era, come quella narrata nel video di Eglė Budvytytė in cui alcuni giovani, visibilmente trasformati nel corpo, vagano nelle foreste lituane.

Felipe Baeza

Nella terza sala danza Gwendalyn, “Nana” di Niki de Saint Phalle accanto ad altre esuberanti e colorate creazioni come i dipinti anticolonialisti di Frantz Zéphirin, le Arpilleras/arazzi di Violeta Parra o il Drapo Vodou di Myrlande Constant. Trionfa Felipe Baeza in una serie di collage che hanno la potenza dei maestri surrealisti e accanto a lui si resta incantati dalle forme in ceramica di Magdalene Odundu.

Dopo un inizio appagante restiamo delusi dalle capsule temporali. Un allestimento, ahimè, scialbo presenta la capsula dedicata al primo strumento umano: un contenitore. La struttura di questa “costellazione” e le opere disposte al suo interno non sono particolarmente coese tra loro e resta discutibile l’accostamento tra le visioni oniriche di Ruth Asawa e i modellini anatomici della dottoressa Aletta Jacobs. Mentre osserviamo gli uccelli volare liberi nel cielo nel video girato in Super 8 da Luiz Roque, entriamo in una sala che in qualche modo smorza i toni entusiasti della prima parte di Corderie. Attraversiamo un grande campo di zolle di terra – installazione di Delcy Morelos –  per approdare ad una tenda carica di slogan, per fortuna le luminose tele di Firelei Báez rappresentano un’ancora di salvezza, un tocco di mitologia proiettata nel futuro.

Noah Davis

I disegni dell’artista Sandra Vásquez de la Horra riprendono il filo della lotta per i diritti delle donne, mentre la situazione degli afroamericani è al centro delle ipnotizzanti tele di Noah Davis. Candice Lin veste i panni dell’alchimista e ci presenta il suo laboratorio di incantesimi tra piante, ceramiche e disegni al vetriolo, anticipa il corridoio di figure mutanti di Solange Pessoa che ci conduce tra le fauci di grandi maschere rituali create da Tau Lewis.

Giannina Censi e Kiki Kogelnik

A questo punto interviene un’altra capsula temporale, dedicata alla figura del cyborg. Ancora una volta si resta perplessi dalla scelta degli elementi esposti. Tra fotografie, bambole, costumi e scariche elettriche sembra di trovarsi in un circo delle meraviglie di inizio Novecento, dal quale si discostano le linee inconfondibili di Louise Nevelson, Alexandra Exter e Kiki Kogelnik.

Kapwani Kiwanga tranquillizza il visitatore creando un’installazione di veli leggeri con tonalità avvolgenti, che racchiudono semplici ma geniali sculture. I disegni di Tatsuo Ikeda riprendono la tematica delle metamorfosi, mentre la connessione tra corpi è al centro della ricerca fotografica di Joanna Piotrowska. Una morbida coda pelosa ci accompagna nell’antro di Marianna Simnett dove possiamo assistere ad un racconto surreale ma in fondo non così lontano dalla nostra realtà. E surreali sono anche le altre opere esposte nella stessa sala: mostruoso è il corteo di Raphaela Vogel, disturbante ma innocuo il marchingegno di Mire Lee e psichedeliche le opere di Kerstin Brätsch, delicate le costruzioni di Jes Fan.

Le entità silenziose di Sandra Mujinga ci indicano la via verso nuovi esseri, virtuali come nelle costruzioni da gaming di Lu Yang o masse aliene come le sculture di Marguerite Humeau. Gli artisti indagano le relazioni tra robot e essere umani (Geumhyung Jeong), creano mondi distopici (Tishan Hsu), indagano il limite tra reale e virtuale (le Missing person di Lynn Hershman Leeson).

Precious Okoyomon

Esplode alla fine delle Corderie la società della comunicazione, Barbara Kruger invade l’ultima sala con parole dette, scritte, cancellate, riscritte che vengono coperte da un grande silenzio collettivo dopo la visione del video di Diego Marcon. Per fortuna rinasciamo nell’intricato giardino di Precious Okoyomon, cullati dal suono dell’acqua, forse trasformati in coleotteri.