“Come gli uccelli” di Wajdi Mouawad con la regia di Marco Lorenzi
Lo spettacolo che non c’era adesso c’è. È arrivato con un tempismo di tragica puntualità. Parla di un conflitto millenario, quello tra israeliani e arabi, che è ritornato ad essere anche nostro dramma quotidiano dopo l’orrenda strage del 7 ottobre scorso, operata dai terroristi di Hamas nel sud di Israele.
Un conflitto che inevitabilmente ha ripercussioni nella vita quotidiana e la permea fin nell’intimità.
Qui si parla di Eitan e Whaida, due giovani conosciutisi e innamoratisi in una biblioteca di New York (rappresentata con la medesima suggestione – e non certo a caso – della biblioteca de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders) studiano, gioiscono, si amano e sembrano uguali. Ma: lui è ebreo, lei araba. Una differenza che diviene la causa lacerante di un doloroso dissidio di famiglia. Dissidio che si ribalta su tutta la famiglia di Eitan, dai genitori fino ai nonni. Ne viene fuori il dramma delle radici ma anche quello di popoli vicini eppure tormentati.
Studente di genetica, Eitan, è fervido credente nella ragione e nella scienza, che trovano l’apoteosi nella magnifica dichiarazione d’amore a Wahida (ricordando che tutto di ogni essere umano si riporta ai fatidici 46 cromosomi). Ma ragione e scienza si scontrano senza possibilità di intesa contro il muro (simbolizzato dal grande muro che occupa e divide costantemente la scena) del pregiudizio, del razzismo e dell’incomprensione.
Nel lungo e complesso testo si argomenta con la ragione e si grida con la rabbia, si soffre con il cuore e ci si consola con la mente, in un intreccio contorto, complicato e ingarbugliato di Storie diverse, di diverse mentalità, credenze, passioni e linguaggi. Emerge la fatica di un dialogo che si trasforma in grido o (nell’ultima parte ) in argomentare a tratti prolisso, che si avvolge su se stesso nell’impossibile impresa di trovare un finale, che sia anche rappresentazione di una via d’uscita da un dissidio più vivo della vita stessa.
Eppure l’umanità esiste e resiste: in gesti di generosità, altruismo, amore e abnegazione. Forse si dovrebbe partire da lì, anche se è difficile, come difficile interpretare questo testo lacerante. Ma le soluzioni sceniche adottate sono eccellenti, talvolta persino geniali, e la bravura di tutti gli interpreti ne fanno un’opera che lascia un segno profondo nell’anima.
Non un’emozione di meno ci si potrebbe attendere da un testo di Wajdi Mouawad, autore nato in Libano nel 1968 e formatosi in Francia e Canada. Si pensi, solo per citare un titolo, al film La donna che canta (2010, diretto da Denis Villeneuve), tratto dal suo Incendies.
Dopo aver raccolto successi e suscitato dibattiti fin dal 2017 in teatri di Francia, Germania, Gran Bretagna e altri Stati europei, finalmente arriva anche in versione italiana, con la partecipazione di Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri, Rebecca Rossetti.
Un progetto de Il Mulino di Amleto, produzione A.M.A. Factory, TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Nazionale di Genova; in collaborazione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Festival delle Colline Torinesi.
Al Teatro Astra di Torino fino a domenica 26 novembre 2023. Successivamente al Teatro Gustavo Modena di Genova dal 9 al 14 gennaio 2024; al Fontana di Milano dal 30 gennaio al 4 febbraio 2024, a Bologna nell’autunno 2024 per proseguire poi la tournée in altre sedi da definire.